Da tempo sui Social come Facebook e Twitter, i
traduttori si stanno schierando contro un meccanismo che li spinge ad accettare
lavori sottopagati: il pagamento per numero di parole.
Il mercato è pieno di balordi, ma anche noi siamo
bravi a rovinare il mercato accontentandoci di essere sottopagati, perché non
siamo abili nella negoziazione con il cliente e lasciamo quasi sempre vincere
lui, come si diceva oggi alla BP
Conference.
Questo è un meccanismo da smantellare. Mortifica il
nostro lavoro e riduce il potenziale del traduttore. Ragioniamo in termini di
tempo. Per tradurre 300 parole, abbiamo bisogno di 30 minuti. Queste 300 parole
possono essere tradotte in 30 minuti, ma anche in un’ora. Dipende
dall’argomento. In alcuni casi c’è bisogno di approfondire, seguire blog del
settore, leggere articoli, consultare riferimenti vari, chiedere consigli a
esperti.
Il punto è che questo: il cliente lo deve sapere, fa parte della nostra professionalità.
300 parole nate dopo una fase di studio durata 2 giorni, non hanno lo stesso
valore di 300 parole tradotte 30 minuti. No. Quelle parole valgono quelle ore
di approfondimento.
E quelle ore di apprendimento si ammortizzano
perché utilizzeremo quella ricerca terminologica (che convergerà nei glossari) per
altre traduzioni dello stesso argomento, e in quel caso saremo più veloci,
perché avremo acquisito esperienza e competenza in quell'ambito.
Iniziamo a liberarci della tariffa a parola iniziando a puntare
su di noi, sul valore e sulla qualità della nostra traduzione, sul nostro
tempo, sul processo decisionale dietro alla scelta del termine giusto, in poche
parole, sulla qualità del nostro lavoro. Noi non lavoriamo semplicemente con le
parole, noi gestiamo un patrimonio immateriale: la conoscenza.